Reportage: Land of Light by Giannis Papanikos
Giannis Papanikos was born in Thessaloniki. In 2011 he bought his first camera and began studying photography in Stereosis school of Photography in the center of Thessaloniki. At the same time he started working as a photojournalist, and doing assignments for a Free Press Ecological Journal. The first project he worked on was called ” Trisomy 21 ” and deals with the lives of people with Syndrome Down. His inner need for traveling led him into two projects in India and Morocco. Since the beginning of 2013 he identify himself as a Freelance photojournalist covering news for news agencies . His work has been published in European and Greek media.
Text and photos by Giannis Papanikos[Traduzione in italiano in basso]
The reason I got involved with photography was the need for traveling . So in April 2013 I chose to travel to Morocco and to deal with a short time project. I always had a big question about this country , and the question became larger after the storm of the Arabian Spring. Morocco was the only North African country that stayed out of the dramatic events, and maybe today is the only stability pole in the region.
Throughout the trip I had the opportunity to visit three completely different cities. The cosmopolitan capital of Rabat, the touristic Marrakech and the enigmatic town of Ouarzazate . From the beginning, the purpose of my images, was to show both faces of Morocco. The first face of the Morocco which is trying to modernize itself , according to the Western standards , but also the opposite face of Morocco which refuses to abandon its strong Islamic traditions and lifestyle.
Also another term that I put on this project was the lighting. My pictures should necessarily be characterized by a throw warm light. So I narrowed myself on photographing only in the afternoon or early in the morning. Many things passed in front of my lens, such as, children playing in ancient cities , middle class people who faithfully followed the plans of their everyday life , yuppies dressed in expensive suits passing out of modern shopping centers , excited tourists who were discovering the attractions and restaurants, suggested by the tourist guides, and people making a relaxed afternoon stroll at the seaside of Rabat .
I think that from a very young age, the man gets the stimulus of photography, as something strictly personal, and usually a family affair. We usually get photographed by persons familiar to us, which usually record the most memorable moments of our lives. So, intimate there is an ingrained desire to face the lens only when we are happy and beautiful. If all of these, in combination with our strong faith in a religion or a political doctrine, then we are doomed to face any kind of art and especially photography as a hostile act against us, and the photographer, as like someone who has the will to use our figure in order to satisfy dark purposes, that aim to slander us or endanger our faith.
The reason I write these lines is to make an introduction to the main problem I encountered in Morocco. And this problem was the photography itself. The prohibition to make frames that included people inside was a very common phenomenon. I tried to respect the wishes of those who didn’t like to lie on my pictures.
Otherwise I’ve never had any complaints from the hospitality of Moroccan people. After every trip, I try to remember each country through very specific memories, that I gained from my wanderings. Morocco for me is the spring breeze of the Atlantic ocean in Rabat, the night exploring in the narrow streets of the Marrakech medina and the amazing light that bathes the town of Ouarzazate, against the tranquil desert landscape.
( Images © Giannis Papanikos)
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**Italiano**
di Chiara CostantinoGiannis Papanikos è nato a Tessalonica. Nel 2011 ha acquistato la sua prima fotocamera e ha iniziato a studiare fotografia alla Scuola di Fotografia Stereosis, nel centro di Tessalonica. Allo stesso tempo, ha iniziato a lavorare come fotogiornalista, svolgendo incarichi per un giornale ecologista di stampa libera. Il primo progetto su cui ha lavorato è stato “Trisomy 21”, che tratta della vita delle persone con Sindrome di Down. Il suo bisogno interiore di viaggiare lo ha condotto a realizzare due progetti in India e Marocco. Dall’inizio del 2013 si definisce fotogiornalista freelance, documentando ciò che accade per le agenzie di stampa. Il suo lavoro è stato pubblicato sui media greci ed europei.
Il Paese della Luce
Il motivo per cui sono diventato un fotografo è stato il bisogno di viaggiare. Così, ad Aprile 2013 ho deciso di andare in Marocco e di occuparmi di un breve progetto. Mi sono sempre posto un grosso interrogativo su questo paese, e l’interrogativo si è ingigantito dopo la tempesta della Primavera Araba. Il Marocco è stato il solo stato nordafricano che è rimasto fuori da quegli eventi drammatici, e forse oggi rappresenta il solo polo di stabilità nella regione.
Attraverso il viaggio, ho avuto la possibilità di visitare tre città completamente diverse fra loro. La capitale cosmopolita di Rabat, la turistica Marrakech e l’enigmatica città di Ouarzazate. Da principio, lo scopo delle mie immagini era di mostrare ambo le facce del Marocco. La prima faccia del Marocco che sta tentando di modernizzarsi, secondo i parametri occidentali, ma anche il rovescio della medaglia, il Marocco che rifiuta di abbandonare le forti tradizioni e lo stile di vita islamico.
Inoltre, un’altra condizione che ho inserito in questo progetto è l’illuminazione. Le mie fotografie dovevano per forza essere contraddistinte da una calda luce diretta. Perciò, mi sono limitato a scattare foto soltanto di pomeriggio o di prima mattina. Molte cose sono accadute davanti al mio obiettivo, per esempio, bambini che giocavano in antiche città, persone della classe media che seguivano accuratamente gli schemi della vita di tutti i giorni, yuppies che indossavano completi costosi fagocitati dai moderni centri commerciali, turisti eccitati che si lanciavano alla scoperta di attrazioni e ristoranti, suggeriti loro dalle guide, e persone che trascorrevano un pomeriggio rilassante passeggiando sul litorale di Rabat.
Penso che, fin dalla giovane età, l’uomo riceva lo stimolo a fotografare come qualcosa di strettamente personale, di solito una questione di famiglia. Di solito, veniamo immortalati da persone che ci sono familiari, che in genere registrano i momenti più memorabili delle nostre esistenze. Dunque, nell’intimo c’è un desiderio radicato di mettersi di fronte all’obiettivo solo quando siamo felici e carini. Se tutto ciò si combina alla nostra forte fede in una religione o in una corrente politica, allora siamo destinati a avere a che fare con ogni tipo d’arte e in particolar modo la fotografia, in quanto atto ostile contro di noi, e il fotografo, come qualcuno che ha il potere di usare la nostra immagine per soddisfare scopi oscuri, che mirano a diffamarci o a mettere a repentaglio la nostra fede.
Il motivo per cui scrivo queste righe è introdurre il problema più grave che ho riscontrato in Marocco. E questo problema era la fotografia stessa. Il divieto di scattare foto che includessero persone è stato molto frequente. Ho provato a rispettare il volere di coloro che non desideravano comparire nelle mie foto.
A ogni modo, non ho mai avuto occasione di lamentarmi dell’ospitalità dei marocchini. Dopo ogni viaggio, cerco di ricordare ogni paese attraverso ricordi molto dettagliati, che ricavo dal mio girovagare. Il Marocco per me è la brezza primaverile dell’Oceano Atlantico a Rabat, la notte trascorsa esplorando le strette viuzze della medina di Marrakech e la luce favolosa che avvolge la città di Ouarzazate, in contrasto con il silenzioso panorama del deserto.
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